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Cronologia

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Capitolo 1. L'opera e l'autore



Notizie sull'autore

Müller e Jacoby offrono un catalogo delle varie ipotesi di volta in volta avanzate nelle varie edizioni per identificare Aristodemo, il presunto autore di FGrHist 104. L'analisi del codice, che si può trovare in Liuzzo 2015,1 dimostra tuttavia come non si possano usare le annotazioni in margine alle pagine del manoscritto parigino per identificare l'autore, poiché fanno parte di un sistema di riferimenti legato ad eventi contestuali alla produzione del manoscritto. È solo incidentalmente che viene scelto Aristodemo come elemento di riferimento all'interno del testo (2.5), forse per la particolare sententia. Risulta vano tentare un'attribuzione, o per lo meno cercare di individuare la tipologia del testo in questione. Lo stesso Jacoby riportava i tentativi senza eccessiva convinzione.2 L'ipotesi migliore potrebbe essere quella di un contemporaneo di Libanio, un insegnante di retorica siriano del IV secolo, e forse lo stesso, del quale Suda (Α3915) dice “Scrisse per Danao l'epitome della Prosodia Catholica di Erodiano”,3 volendo cercare basandosi sull'annotazione del codice.4 Non esistono però testimonianze sul periodo storico di riferimento né dell'autore, né del suo testo, ma per quest'ultimo abbiamo dei riferimenti cronologici: il IV a.C. come terminus post quem, per il riferimento a Filippo II (2.2); la metà del II d.C. come terminus ante quem fornito dal ritrovamento di P.Oxy. 2469, contenente un testo della medesima tradizione e paleograficamente databile con sufficiente sicurezza. L'ipotesi è incompatibile con la cronologia del testo a meno che non si consideri P.Oxy. 2469 parte di uno scolio.

L'unico modo per sapere qualcosa sull'“autore” resta dunque il suo testo. È opinione comune che le fonti “ultime” di FGrHist 104 siano Erodoto e Tucidide, ma questo è vero solo se ti tengono presenti alcune precisazioni per non incorrere in un ulteriore processo di semplificazione. Prendendo, ad esempio, la battaglia di Salamina vediamo come sia nutrita di tradizioni e scelte che risalgono ad autori “alternativi” ad Erodoto, come Ctesia.5 Ancor più spesso si nota come soltanto Plutarco, Polieno, Giustino e, alle volte, Nepote riescano a dare un effettivo parallelo per le tradizioni contenute in FGrHist 104. Tucidide spesso sostiene una versione alternativa al nostro testo fino a far pensare, sulla base dei percorsi presi dalla trasmissione, ad una dipendenza comune per l'Ateniese e il nostro testo da Stesimbroto di Taso, fonte di Plutarco in diversi passi paralleli. La somiglianza 6 con Tucidide è legata all'uso continuo di questo testo dal IV secolo in poi non solo come modello narrativo ma anche come fonte.7 Solo la parte finale, il paragrafo 16 nello specifico, è probabilmente di stampo eforeo, data la somiglianza letterale al testo di Diodoro (12.40) dove lo storico di Cuma è citato per nome, ma la tradizione indiretta permette di ricostruire un percorso meno lineare, che considera anche il ruolo di Filocoro. La stratificazione degli interventi nel testo che troviamo in FGrHist 104, lo ha modificato e complicato e non si può estendere l'osservazione sul paragrafo 16 all'intero testo8 per ridurre ad una soluzione questa complessità, come non si può fare leva sulla tradizione indiretta del testo per affermarne l'afferenza ad un generico filone di fonti lessicografiche.9

La prospettiva ateniese può essere semplicemente un criterio di selezione, può corrispondere ad una fase attidiografica della trasmissione delle tradizioni o può essere legata alla fase di produzione erudita, per esempio di commento ad Aristofane o Demostene senza essere in nessuno dei casi “filo-ateniese”.

Un vaglio abbastanza accurato delle relazioni del testo di Aristodemo con gli altri testimoni, si trova in appendice all'edizione di Doenges dell'epistolario di Temistocle.10 Per questo editore,11 l'epistolografo non si sarebbe servito di FGrHist 104, ma di un testo abbastanza simile ad esso da poter essere inserito nella medesima tradizione. A partire da questa considerazione indaga le possibilità di identificazione di questa fonte approdando ad ipotizzare un'Atthis del tipo di quella di Filocoro. Questa fonte sarebbe comune anche a Suda ed agli scoli ad Aristofane e le differenze tra i quattro testi derivati indicherebbero appunto il fatto che FGrHist 104, non sia fonte diretta di alcuno degli altri tre. Le somiglianze con il testo di Diodoro12 portano l'editore ad intendere che Eforo avesse usato la fonte di FGrHist 104, poiché la maggiore completezza e il minor approfondimento, farebbero pensare che la versione del nostro sia stata poi elaborata da Eforo. Lo scolio ad Aristoph. Pax 605, infatti cita Filocoro (FGrHist 328 F 121) in riferimento alla vicenda di Fidia, anche se è la versione contrastante, riportata dallo scolio (λέγουσι δέ τινες che Jacoby riferisce a Eforo FGrHist 70 F 196), ad essere più vicina a quella di FGrHist 104. In altri punti, come 14.1, FGrHist 104 si contrappone a Filocoro (FGrHist 328 F 34b)13 ma, nonostante questo, il problematico carattere filoateniese del nostro storico porta l'editore delle lettere a propendere per un'Atthis come fonte comune a tutti questi testi. Riassumendo, lo scoliografo avrebbe confrontato diverse Atthides, e Filocoro viene dato come sistematicamente avverso ad altre Atthides cosicché la fonte di FGrHist 104 deve essere una di queste e probabilmente la medesima di Eforo, che si rifà appunto alla versione alternativa a Filocoro nello scolio a Pace 605. Non penso sia un'ipotesi da scartare, anche se non condivido il ragionamento attorno a Filocoro e le discrepanze penso lascino pochi dubbi sulla presenza di ulteriori passaggi tra la presunta Atthis e FGrHist 104. Da questo punto di vista, la presenza di Teopompo insieme a Tucidide ed Eratostene, in FGrHist 328 F34b è invece un segnale significativo. Nessuna identificazione è convincente e forse non c'è bisogno di una soluzione decisiva poiché nella stratificazione del testo ciascuno di questi passaggi ha una ragionevole probabilità di essere avvenuto.

1. La tesi di dottorato su cui si basa il presente testo è disponibile al seguente link Liuzzo 2014. Cfr. anche Liuzzo 2014.

2. Jacoby, FGrHist 104 Komm. 320.

3. Malcolm Heath, 15 Giugno 2000 (Suda on line, http://www.stoa.org/sol/).

4. Altra ipotesi potrebbe essere quella con l'Aristodemo discepolo di Aristarco nello scolio 150a p. 137, 3 ss. Dr. alla Nemea VII di Pindaro (Arrighetti 1987, 77).

5. Lenfant 2004, XXXI e CI per la mediazione di Eforo.

6. Non si può far risalire ad Ellanico, anche perché, come sottolinea Ambaglio 1980, 56, la critica di Tucidide veniva mossa al τοῖς χρόνοις οὐκ ἀκριβῶς cioè alla datazione per arconti.

7. Momento al quale possono essere ricondotti semplici meccanismi di ampliamento della tradizione con aneddoti ed episodi particolari con intenti narrativi vari, biografici, locali, ecc. Le tradizioni conservate dal solo FGrHist 104 sono numerose. Ricordo l'uso di μηδίζω per Serse riguardo a Temistocle (1.1), il paragone con il ponte dell'Ellesponto e il molo fallimentare (1.2), la dichiarazione del primato Ateniese (1.3), Aristide comandante degli Egineti (1.4), Filippo in riferimento ad Alessandro, il numero delle truppe beote (2.3), l'apologia del Filelleno (3.1), le misure delle mura (5.4), la storia della figlia di Coronide insieme a quella di Argilio (8), la contemporaneità tra il secondo richiamo di Pausania e la fuga di Temistocle ad Argo (6), il disco (9), la promessa fatta ad Artaserse (10).

8. Podlecki 1975, 113; Badian 1993, 23-4.

9. Propone questa ipotesi Pownall 2011 sulla base di Pownall 2004, 253-69 dove smentisce la posizione filoateniese di Eforo.

10. Vedi .

11. Doenges 1981, 423s.

12. Ricordo brevemente i passi su cui egli si basa 4.1, e Diod. 11.44.3, 8.2-4 e Diod. 11.45.4-6, e soprattutto la pace di Callia (13.2 = Diod. 12.4.5).

13. Doenges 1981, 447s. “It tells the story of the Persian wars and the Pentekontaetia from an athenian point of view. It is, in fact, an Athenian history”.


Notizie sul testo

FGrHist 104 si può descrivere come un manuale di Storia Greca, interessato, ma non completamente focalizzato, come nessuna biografia, alle vite e alle gesta di personaggi illustri e di coloro che vissero e interagirono con essi, alla sequenza degli eventi e ai dati, alle informazioni di riferimento: numeri, luoghi, distanze, vincitori. Solo in determinate circostanze il testo affronta questioni eziologiche e solo dove la tradizione ha visto cristallizzarsi un'argomentazione a riguardo, come per le cause della guerra del Peloponneso. Tuttavia, conserva ancora una buona parte di quel dubbio, o meglio di quella ambiguità, che fa di Plutarco un biografo e uno storico e si lascia riportare, per alcuni elementi, fino ad un periodo in cui storia e biografia non erano ancora nettamente distinti come generi.14 Ricordi, stimoli, distrazioni, memorie, immagini costruiscono l'informazione prima che sia riprodotta, anche se questa modifica avviene secondo convenzione e il momento della tradizione che più agisce su questo tipo di contenuto è quello che passa tra l'orecchio e la mano, lo stesso per cui le fonti di Erodoto non sono soltanto orali e non sono tutte letture quelle che si trovano in Plutarco.

Della tipologia di Storia, oltre al localismo, l'unica cosa che possiamo affermare con una certa sicurezza è che FGrHist 104 non è una storia universale per quanto possiamo dire da ciò che ne resta, né per struttura, né per fonti, né per intenti e neppure per selezione. Gli eventi sono spesso chiaramente selezionati da un punto di vista Ateniese. La vicenda di Pausania che potrebbe infrangere la regola è dopotutto parte di questa tradizione, non di quella Spartana, poiché sta alle origini della Lega di Delo ed è strettamente connessa a Temistocle, Pericle e Cilone proprio da Tucidide e forse da chi lo precedeva. Rispetto al metodo di composizione del testo, Frost15 ha ipotizzato che “Aristodemos is trying to write history by looking things up in a dictionary or dictionaries as he goes along“, forse pensando ai kephalaia di Schwartz, già tuttavia ritenuti esagerati da Jacoby, e sulla base di Arpocrazione, Lessico sui dieci oratori,16 che “cita” Demostene (6.11) in modo simile ad FGrHist 104 (2.2). Gibson17 pensa ad una ricomposizione di testi diversi anche per il caso di P.Berol. 9780. Questo è un parallelo interessante perché il commento a Didimo condivide con il testo di FGrHist 104 un carattere molto sintetico e una selezione non troppo “ordinata” e ciò è interessante perché, oltre a trovarci nel contesto della tradizione erudita attorno a Demostene, che fu sicuramente parte del percorso che ha portato a FGrHist 104, si può confrontare ulteriormente con i frammenti papiracei dal Fayyum, dei quali CLGP-Aristofane n° 5 riporta appunto un pezzetto del nostro testo.18 L'ampio uso di FGrHist 104 nella letteratura scoliografica è attestato anche dagli scoli ad Ermogene di Planude, inseriti da Bücheler.19 Non è tuttavia possibile stabilire con quale criterio e riguardo a quali temi in generale venga usato il testo di FGrHist 104 e se ci sia una tendenza predominante come per l'uso dell'Athenaion Politeia e delle Atthis di Androzione e Filocoro, considerate preferenziali per l'ambito delle istituzioni e della storia rispettivamente, negli scolii ad Aristofane.20 Bisogna quindi prendere in considerazione meccanismi di trasmissione dei testi e delle tradizioni più ampi, per individuare un percorso frequentato dalle informazioni nei secoli. Quest'ultimo non può certo essere reso evidente nei suoi dettagli ma può essere intravisto dal confronto e dall'incrocio con studi già effettuati su simili testi.21 Il compito da affrontare è dunque di analisi e rilettura di tutte le fonti relative a queste tradizioni storiche, fin dove possibile per cercare di intravedere, oltre alla comunanza di temi con Tucidide ed Erodoto, troppo spesso confusi con gli argomenti da essi trattati, anche altri passaggi che possono chiarire le caratteristiche di quest'opera e misurarne il contributo nello studio della Storia e della Storia della Letteratura. Nel testo troviamo indicazioni numeriche frequenti, ridondanti, anacronistiche, che fanno riflettere sul criterio di selezione della tradizione di questo testo, che ha mano a mano preservato “dati”, la cui rilevanza era sentita in modo alternativo rispetto alle possibili fonti di V secolo, ma anche rispetto ad altri canali di trasmissione delle tradizioni, più legati al meraviglioso, all'evenemenziale o al letterario. La selezione operata nella tradizione di FGrHist 104, è una selezione più vicina a quella di una moderna sintesi o rielaborazione storica, somiglia più ad un manuale universitario contemporaneo che ad un florilegio basso medievale o rinascimentale.

Data questa natura, FGrHist 104 ci interessa in quanto testo in sé e come possibile testimone di molti degli autori che sono giunti sino a noi solo per via indiretta. FGrHist 104 presta poca attenzione alla cronologia, gradisce i dati numerici e gli aneddoti. FGrHist 104 tuttavia, pur essendo un testo "spoglio", nonostante il destino che la tradizione degli studi moderni gli ha attribuito, attenta ad un riordino logico. Vi troviamo due sentenze altrimenti tradite (1.6 e 16.4) ma anche una che altrimenti non avremmo (2.5), vi sono aneddoti (2.5 e 8.1) e “digressioni” a renderne il tessuto narrativo piacevole, e non gli si imputerà una semplicioneria di cui non ha colpa per escluderlo dalle argomentazioni. Questi aspetti del testo hanno spinto Jacoby a calcare sull'elemento retorico alla sua base e a vedervi null'altro che una narrazione scolastica un po' sforzata che circoscrive e ritaglia per conservare e tramandare.

14. Engels 1993, 56 riferendosi agli anni trenta del V secolo. Da Momigliano 1971, 65s. si riconosce nei Philippikà di Teopompo il punto di svolta.

15. Frost 2005, 261.

16. l.4 Ἀλέξανδρος: Δημοσθένης ἐν ς' Φιλιππικῶν φησὶν “ἡνίκα ἦλθεν Ἀλέξανδρος ὁ τούτων πρόγονος περὶ τούτων κῆρυξ. οὗτός ἐστιν ὁ ἐπικαλούμενος φιλέλλην, υἱὸς μὲν Ἀμύντου...”.

17. Gibson 2002, 68. L'autore pensa, ammettendo di non poterlo provare, che il famoso commento di Didimo a Demostene altro non sia che l'opera di uno storico che attinse ampi stralci anche dal commento di Didimo appunto.

18. Questo testo è del IV-V secolo d.C. e potrebbe dunque essere già una forma di riutilizzo per la compilazione di scolii del testo dello storico di FGrHist 104, che tre secoli prima era stato estrapolato da materiale affine a quello che troviamo in P.Oxy. 2469.

19. Jacoby FGrHist 104 komm. 321 e Vedi84.

20. Montana 1996, 23.

21. Soprattutto Westlake 1977, Culasso Gastaldi Cortassa 1990, Montana 1996, Gibson 2002, Lenfant 2004, Dickey 2007.

Capitolo 2. Note al Testo


Note al Testo

Schwartz,22 per cercare di definire il genere di testo contenuto in FGrHist 104, pensava ad una raccolta di κεφαλαία, appunti o esercizi di memorizzazione. Già Jacoby,23 commentando Aristodemo scartava questa definizione come esagerata. Pur nell'estrema sintesi FGrHist 104 è un testo unitario, sebbene schematico nell'ultima parte. Non si può nemmeno pensare ad un frammento degli Excerpta historica de proeliis et obsidionibus, perché l'unità codicologica contenente FGrHist 104 è paleograficamente precedente a Costantino VII e risale all'inizio del X secolo.24 I dispositivi peritestuali di accesso alla riorganizzazione del fascicolo25 sono una buona chiave di interpretazione, insieme all'analisi del manoscritto. Il copista che compone in minuscola su di un unico fascicolo, da due quaternioni in maiuscola, facendo peraltro un po' confusione, è probabilmente un intellettuale indipendente dagli interessi vari.26 I fenomeni che ricorrono nel codice dimostrano come la nota in maiuscoletto in cima alla prima pagina sia un riferimento interno al fascicolo posto ad un determinato momento della sua produzione per ovviare ad un errore. Data la presenza di Aristodemo ''il traditore'' all'interno del testo stesso, pensare ad un altro Aristodemo autore non è necessario. Nella riorganizzazione il copista identifica il testo grazie al suo contenuto.27 Resta certo, il fatto che questo Aristodemo non è il tema centrale del nostro testo, ma era una pratica comune, per i compilatori delle enciclopedie, copiare frammenti ampi intorno alla porzione di testo interessante, copiare il contesto, e non credo debba sorprendere che anche nell'identificare il testo se ne prenda un elemento più o meno casuale.28 L'opzione più convincente, penso rimanga quella di un ampio ''appunto'' copiato e conservato per una compilazione successiva e identificato ai fini della riorganizzazione del fascicolo, con uno dei suoi contenuti29 ed a conferma resta il fatto che FGrHist 104 è stato ampiamente usato in commenti, scoli e lessici. Già il testo da cui copia il nostro intellettuale bizantino presenta ripetizioni, che risultano "spontanee", proprio come ci si aspetterebbe da una serie di appunti quotidiani.

Dove il Minas separasse i due autori, Carone ed Eforo, al momento del ritrovamento, non lo sappiamo. Forse all'interruzione di Filostrato? Sicuramente dopo il paragrafo 10, dove Plut. Them. 27 permette di escludere Eforo dalle possibili fonti, ma rispetto al contenuto dovrebbe aver inteso un'interruzione alla fine del terzo paragrafo.

La lingua impiegata in FGrHist 104 mostra un'omogeneità che, se può essere imputata al copista, resta comunque un fattore che non permette di tracciare netti confini. Anche la segnalazione dello stacco, che i precedenti editori leggevano nel manoscritto, non indica netti cambi di stile o impostazione del racconto tra una sezione di ispirazione erodotea e una invece di matrice tucididea. Vedremo peraltro nel commento, come riportare tutto ai due storici sia parzialmente fuorviante per lo studio del testo.

Ad alcuni il greco di FGrHist 104 è sembrato ''more familiar with Latin''30 ed indubbiamente esso si presenta generalmente lontano dall'essere piacevole oltre a presentare errori che potrebbero essere ricondotti ad una familiarità maggiore con questa lingua. Già nelle parole iniziali di quella che dovrebbe essere la sezione ''erodotea'' di FGrHist 104 vediamo una terminologia molto vicina a Tucidide (Tucidide 1.91), o l'impiego di termini tardi come νεφωθέντα (FGrHist 104 1.8) e accanto ad alcune assonanze forse casuali, vi sono termini usati da FGrHist 104 in un senso particolare, come m'eroc (FGrHist 104 1.2, FGrHist 104 2.3) e ὑπάρχων, titolo generico probabilmente che troviamo attribuito tanto ad Aristide (1.4) che a Pausania (FGrHist 104 8). Anche l'hapax περίυπνος, forse frutto di mala divisione (FGrHist 104 8) è probabilmente riconducibile ad un precedente tucidideo (Thuc. 2.2.1: ἐσῆλθον περὶ πρῶτον ὕπνον). È molto interessante l'uso particolare di particelle e connettori. Troviamo per esempio, lungo tutto il testo un uso di δὲ molto frequente a indicare i vari eventi consecutivi uno dopo l'altro, mentre ἐπειδή δὲ (FGrHist 104 1.2, FGrHist 104 2.2, FGrHist 104 3) sembra essere sempre utilizzato per riprendere un elemento della lista non immediatamente precedente. Sono inoltre utilizzati come marcatori strutturali τε e καὶ: a FGrHist 104 2.2 e FGrHist 104 3.2 troviamo esempi molto chiari di questo ruolo, che in γιγνομένης τε τῆς μάχης τῆς ἐν Πλαταιαῖς καὶ νικώντων τῶν περὶ Μυκάλην Ἑλλήνων diventano indispensabili per la comprensione letterale del testo. In questo passo è evidente come si voglia sottolineare, in linea con la tradizione, una relazione (anche se non possiamo dire se di contemporaneità) tra le due battaglie. Se sia invece un errore, dovuto alla sintesi effettuata dallo scriba, che potrebbe aver tralasciato il verbo di questa frase o scritto una seconda premessa dimenticando del tutto di inserire la reggente, non possiamo provarlo in assenza di altri testimoni della tradizione, ma è da rilevare come nella lingua parlata questo tipo di strutture sia tutt'altro che infrequente o scorretto. Nella serializzazione dei vari elementi ''elencati'' dai vari δὲ interviene un cambiamento al paragrafo FGrHist 104 11, dove, in concomitanza con una probabile presa di coscienza rispetto allo spazio a disposizione, la narrazione diventa molto spedita e inizia una serie di μετὰ δὲ ταῦτα (FGrHist 104 11.4, FGrHist 104 12, FGrHist 104 14), variati con Εὐθὺς … ἐνταῦθα (FGrHist 104 13) e Καὶ μετὰ ταῦτα εὐθὺς (FGrHist 104 15). Verrebbe da pensare che ciascuno dei precedenti d`e non stia ad indicare il medesimo tipo di congiunzione, e se così fosse la prospettiva strutturale sarebbe del tutto diversa: la parte che più sembra ristretta, sarebbe invece quella copiata per esteso, di contro ad una sintesi strutturale molto forte su tutta la prima parte. L'errore corretto dal copista a FGrHist 104 2.4 è indicativo di una rinnovata sensibilità nell'utilizzo dei deittici, anch'essa forse in parte riconducibile ad un uso parlato. Sono presenti anche riprese formulari interne come il meccanismo di richiesta dell'esercito e il seguente λαβὼν δὲ che troviamo, di nuovo, sia per Aristide che per Mardonio. Infine, se la sensibilità ai numeri di noi moderni rispetto ad Erodoto è molto diversa, tanto si può dire della sensibilità di FGrHist 104 rispetto ad entrambi.

Il problema della relazione tra i manoscritti conservati, il Cod. Par. Suppl. Gr. 607 e il frammento papiraceo P.Oxy. 2469, si pone in realtà soltanto in relazione alla possibile origine da una stessa opera, già in circolazione alla metà del secondo secolo. I testi conservati dai manoscritti e dalla tradizione scoliastica ad Aristofane sono afferenti a diversi rami della tradizione del testo. Zuntz31 aveva proposto, per la somiglianza con i testi degli scoli ad Aristofane, la presenza di FGrHist 104 tra i materiali utilizzati dall'autore degli scolii. In una tabulazione si riportavano a confronto FGrHist 104, FGrHist 104 10.1, lo scolio ad Aristofane, Eq. 84 (formato al tempo dai soli frammenti marginali a e b del papiro Oxford Bodl. Ms. Gr. Class. f.72) e gli scolii medievali Schol. I 84b e Schol. II 84b 84b II. Era già noto che un'opera come FGrHist 104 potesse essere alla base di Suda e degli scoliografi ad Aristofane,32 ma Rea escludeva, con diversi argomenti, la possibilità che anche P.Oxy. 2469 fosse uno scolio formato con materiali tratti da FGrHist 104: l'elaborata scrittura, la minor corrispondenza di questi scoli con FGrHist 104 che non del nostro papiro con esso. Per Rea era persino difficile pensare ad un commentario e proponeva di collocare questo papiro in uno stadio recente della trasmissione del testo. Riproduco lo schema di Zunzt, leggermente modificato secondo l'ipotesi di Rea.33

Nel Fournet 2002 Fournet pubblicò anche un frammento papiraceo conservato a Parigi (P. Acad. Inv. 3 d), che fu riconosciuto come il pezzo mancante tra i frammenti a e b del papiro oxoniense. Il testo così ricomposto concorda ulteriormente con la versione di FGrHist 104 per la presenza del verbo μετανοήσας, assente negli scoli più tardi e peculiare della versione degli eventi narrata da FGrHist 104. Nell'edizione completa del testo (CLGP, Aristophanes n°5), Montana sostenne che il commento ad Aristofane di Simmaco (II d.C.), che rigettava la tradizione sul suicidio di Temistocle testimoniata da FGrHist 10434 fosse il terminus ante quem per l'uso di FGrHist 104 come fonte per la spiegazione del passo dei Cavalieri. Tuttavia, la frase Δια[βάλλει το]ὺς Ἀθηναίους ὡς κακοὺς πρὸς τοὺς εὐεργέτ[ας ... che si trova anche in Schol. 84b I, non è presente in FGrHist 104. È invece presente in Diodoro (Diod. 11.58). Questi due testi non deriverebbero dunque direttamente né da FGrHist 104, né da P.Oxy. 2469, ''bensì da una fonte ipomnematica comune, nella quale la fonte storica era citata'' secondo Montana.35 Ci troveremmo in una situazione di questo tipo:36considerati il discreto pregio stilistico della versione di P.Oxy. 2469; il fatto che essa stessa aggiunge alcuni termini rispetto ad FGrHist 104; e la concomitanza cronologica attestata tra A e P.Oxy. 2469, non penso si possa del tutto escludere che essi coincidano. Quest'ultimo appare sicuramente compendiato, anche se ignoriamo con quale intento. Resta difficile ''ricostruire una relazione ''genetica'' diretta fra questi due diversi prodotti dall'esegesi antica.'' (Montana 2000, 96)

Si può però ricavare da questa tradizione, che il testo dell'autore di FGrHist 104 circolò nel Fayyum almeno dal II al V secolo.

P.Oxy. 2469 invece è molto probabilmente un elemento della medesima tradizione del testo nel codice, mentre gli altri papiri conservano un ramo della tradizione confluita in quella della scoliografia ad Aristofane.

Nel testo che di seguito riporto, ho scelto o proposto alcune lezioni, che la visione del microfilm del manoscritto alla Bibliothèque Nationale de France mi pare permetta di sostenere. Ho inserito nell'apparato critico una lezione di P.Oxy. 2469. Per la direzione di marcia di Mardonio dopo il secondo sacco di Atene, infatti, sia Diodoro sia FGrHist 104 riportano Ἀθήνας, mentre nel papiro troviamo l'agognato Θή[βας che Dindorf37 aveva corretto nell'edizione di Diodoro sulla base della logica e di Erodoto.

I paragrafi da FGrHist 104 13.2 a FGrHist 104 15.4 del testo del manoscritto corrispondono allo scolio di Massimo Planude ad Ermogene (Walz V, 388\indexp{Scolia ad Hermog.!Waltz V 388). Questa è la ragione per cui Jacoby aggiunse nella sua edizione anche i frammenti 2 (Waltz V, 387.4) e 3 (Waltz V, 378.9) in corpo minore. Sebbene di questi due si debba continuare a dubitare, Waltz V, 388, conserva un testo innegabilmente afferente alla tradizione del testo di FGrHist 104, in una versione migliore del testo del manoscritto che tramanda erroneamento Temistocle come collega di strategia di Pericle contro Samo. Di questo scolio ho riportato dunque tutte le varianti, adottando il nome di Sofocle (figlio di Sofillo del demo di Colono) da esso tradito poiché questi è attestato tra gli strateghi per il 441/0.38

Il principio che ho seguito, per le poche scelte editoriali del testo, è stato quello di privilegiare l'edizione del codice in quanto tale,39 eliminando ogni correzione o aggiunta non strettamente necessaria alla comprensione.40 Ho corretto per lo più solo gli errori sintattici o grammaticali dello scriba, già corretti fin dalle prime edizioni. Integrare là dove il nostro occhio sente un forte bisogno di maggiore completezza, anche soltanto sintattica finirebbe col mascherarne la natura.

Nel resto del manoscritto parigino sono stati riscontrati errori fonetici, probabilmente scaturiti dalla dettatura (effettiva o interiore), ''una prassi che trascende il passaggio della traslitterazione, accomunando di fatto fase maiuscola e fase minuscola'',41 tra i quali si possono annoverare per esempio τρεσσᾶς per τρέσας in FGrHist 104 2.5, πειρευς per Πειραιεύς (due volte) e μουνουχία per Μουνυχία in FGrHist 104 5.4, γενομενομενος per γενόμενος in FGrHist 104 8.1 (dovuto ad una semplice duplicazione) ίο per τῷ e διεξείη per διεξῄει in FGrHist 104 8.3, ἀνελθόντες per ἀνελόντες in FGrHist 104 8.4, λευκοφρύνι per Λευκοφρύνῃ in FGrHist 104 10.5.

Lo scriba utilizza volentieri abbreviazioni, non solo grafiche, come l'omicron sigma finale, ma anche di nomi comuni come γαμ per γάμον in FGrHist 104 4.2, μηρ per μητὴρ in FGrHist 104 8.4, υν e υσ per υἱόν υἱός in FGrHist 104 10.4, πρα per πατέρα e σρια per σωτηρίας in FGrHist 104 11.3. Riporto anche alcuni errori ortografici presenti nel testo οἱ per οὑ in FGrHist 104 3.2, ἀπεκατέστη per ἀποκατέστη in FGrHist 104 8.1; scambi di vocale lunga e breve o dittongo ὡς per ὃς in FGrHist 104 4.2, αναφανδων per ἀναφανδόν, ἐπερώνησε per ἐπερόνησε in FGrHist 104 8.1, κατάφορον per κατάφωρον in FGrHist 104 8.2, προσχὼν per προσσχὼν in FGrHist 104 10.5, ἐσπήσατο per ἐσπείσατο e ἀνοίσῃ per ἀνύσῃ in FGrHist 104 14.2,τειχνήτην per τεχνίτην e ἁλῶντος per ἁλόντος in FGrHist 104 16.1; errori legati al raddoppiamento γενήσεσθαιper γεγενῆσθαι in FGrHist 104 10.4 e δέδωκεν per ἔδωκεν in FGrHist 104 10.4. La lezione πολιτιδαια per Ποτίδαια del manoscritto è facilmente riconducibile ad un'anticipazione della scrittura della parola seguente, πόλις. Sono invece probabilmente errori grammaticali ἐπιστρεφόν[των] in FGrHist 104 3.1, Ἐλευθέριαν in FGrHist 104 3.4, τὸ in FGrHist 104 4.2, παρατεθημένας in FGrHist 104 4.2 Θεμιστοκλέα in FGrHist 104 4.2, νύκταν in FGrHist 104 10.3 ἐπέμνησεν αὐτω in FGrHist 104 10.4 e διέφθαρον in FGrHist 104 10.4

Tutte le letture alternative del manoscritto dei vari editori sono segnalate in apparato. Alcuni luoghi necessitano invece una discussione più precisa.

  • 1.1 μίαν ἡμέραν μόνην La proposta di Jacoby è migliore rispetto a quella di Müller, perché questo è il testo che si legge sul manoscritto dove i ν finali sono chiari. La necessità di Müller di correggere è tuttavia comprensibile poiché questo inizio è molto brusco e improvviso, ma la versione che ipotizza il verbo μένειν mi pare più accettabile della lettura al genitivo con μιᾶς ἡμέρας. La parte conservata è mutila della prima pagina, nella quale probabilmente si trovava la parte iniziale della frase, o almeno il nome di Temistocle, anche se questo non è strettamente necessario.
  • 1.2 μέρος τι ἔχων] Il sintagma suona incompleto e molto sintetico, così da portare Jacoby a proporre in apparato, con un punto interrogativo, di inserire τῶν νεῶν dopo il verbo, sulla base di Giustino (2.12.22 rex velut spectator pugnae cum parte navium in litore remanet). In effetti il sintagma sembra non essere mai attestato senza un genitivo di specificazione per μέρος. Στρατιᾶς e νεῶν sono comuni negli storici.42 Anche nelle iscrizioni, la formula si trova spesso impiegata per l'espressione della frazione (con l'ordinale al neutro a coprire la stessa posizione logica del nostro τι, cfr. e.g.: SEG 12:100 e Agora 19, Poletai P 5). La proposta di Jacoby è più che giustificata, ma non necessaria. Probabilmente στρατιᾶς o πεζῆς sarebbero ipotesi migliori per chi volesse integrare, essendo di queste truppe che si parla in precedenza nella frase.
  • 1.2 ἀδύνατον ἦν τὸ πᾶν γεφυρωθῆναι Anche in questo caso, con Jacoby, non inserisco Τὸ πᾶν [{τὸν πόρον] come suggeriva Müller, sebbene il sintagma risulti incompleto. Il problema riguarda il riferimento di τὸ πᾶν a γεφυρωθῆναι oppure ad ἀδύνατον ἦν. Nel primo caso, la mancanza di un oggetto specificato rende necessaria l'integrazione di Müller.43 Diversamente, leggere τὸ πᾶν con riferimento ad ἀδύνατον ἦν rende l'integrazione superflua. Alcuni loci similes si trovano in Aristotele (Ph. 205a: ἀδύνατον τὸ πᾶν), e possiamo prendere a confronto anche forme come δείσας μὴ πάνυ φωραθῇ ἀδύνατος ὤν (Thuc. Tucidide 8.56.4); παντάπασιν ἀδύνατον (Xen. Anab. 5.6.10) e tantissimi altri esempi in Platone, Aristotele e Plutarco; οὐ κατὰ πᾶν δ’ ἀδύνατον κρίνοντα (Diodoro 4.40); fino a sintagmi come il τοῦτο δὲ ἦν παντὸς μᾶλλον ἀδύνατον (Elio Aristide, Panatenaico 46.144), quindi nel senso di πάντως ἀδύνατον (e.g. Plat. Leggi 788a3). Si veda anche 11.4, ὀλίγοι δὲ παντάπασιν ὑπέστρεψαν.
  • 1.4 ἐκπληττομένος Questa è la lettura più probabile del codice, con l'omicron e il sigma finali in legatura. Bücheler correggeva con la forma attiva, per meglio rispondere al καὶ che lega i due participi; Müller ne sottolineava il significato equivalente all'attivo, ma proponeva anche di riferire il participio futuro passivo agli Ateniesi aggiungendo un infinito, in tal modo intendendo tutto in dipendenza da βουλόμενος (con due infiniti, quindi, ed i rispettivi participi plurali accusativi). Corretta formalmente, la proposta di Müller rende la frase sicuramente più chiara e completa, ma non è il testo che si trova nel codice e prevede almeno tre interventi (modificazione del verbo, anche se non del tutto necessaria nemmeno per lui; modificazione di caso e numero del participio; aggiunta dell'infinito καίνειν). Conservando il testo del codice, penso si possa intendere il doppio intento, che resta comunque chiaro, e mantenere la biforcazione dove è, cioè a livello dei due participi, e non in dipendenza dal secondo. Dopo Ψυτταλείαν, ἐκπληττομένος può essere inteso con valore finale in dipendenza da ἐπεβίβασεν, mentre in βουλόμενος prevale l'aspetto continuato del presente rispetto al pur persistente valore finale del participio (essendo comunque tutte queste azioni συνεστηκυίας τῆς μάχης). L'accusativo prova il valore attivo del verbo e il significato dell'azione di Serse, che prepara l'effetto della reazione di Serse al secondo messaggio di Temistocle (φοβηθεὶς ἔφευγεν).
  • 1.5 ἠγωνίσα<ν>το Jacoby ha espunto il ν e riferito sia διασημότερον sia il verbo al singolare ad Ἀμεινίας, ritenendo la proposta di integrazione con ἠγωνίσαντο [Ἀθηναίους] di Müller sbagliata. Quest'ultimo intendeva probabilmente il καὶ coordinante due frasi i cui soggetti dovevano essere diversi, dati i diversi verbi, e inserire, seguendo la tradizione, gli Ateniesi in opposizione logica al seguente τῶν δὲ βαρβάρων. La soluzione di Jacoby è più economica ed è sostenuta da una più lineare struttura della frase, con καὶ a coordinare due verbi relativi entrambi al soggetto. Il διασημότερον va inteso in senso avverbiale, inoltre l'intero paragrafo è dedicato ad Aminia, e tutta la sezione è priva di verbi al plurale. Si potrebbe, in alternativa, lasciare il plurale e intendere ἠγωνίσαντο come verbo di una premessa di valore concessivo, ma penso si possa pensare a questa eventualità più in quanto genesi dell'errore, che non viceversa.
  • 2.1 [μά]γοις συμπ[{επει]κ̣ὼ̣ς̣ καὶ dopo il participio è l'unico elemento riconoscibile. La ricostruzione del participio è fatta sul confronto con Erodoto (7.5 e 7.9) e visto l'infinito successivo.
  • 2.2 γῆν ὅσην αὐτοὶ βούλονται Jacoby riferisce nel pronome/aggettivo indeterminato il valore potenziale invece di correggere con Müller in ἄν αὐτοὶ βούλοιντο per dare al verbo la caratteristica ottativa implicata nella proposta, in modo più vicino a Diodoro 11.28.1 (ἣν ἃν βούλωνται).
  • 2.2 τε ὑποσχόμενος concordo con la lettura di Jacoby piuttosto che con la proposta ὑποδεχόμενος di Bücheler, che probabilmente era stata avanzata pensando alla possibilità di una confusione con il verbo nella riga superiore.
  • 2.3 παραγενόμενός τε εἰς τὰς Θήβας P.Oxy 2469, proveniente probabilmente dal filone di una tradizione scoliografica che si è servita di FGrHist 104 riporta la lezione migliore. Il codice tramanda infatti εἰς τὰς Ἀθήνας che veniva corretto secondo la logica e la tradizione, da tutti gli editori concordemente con Tebe. Questa correzione trova una conferma evidente nel papiro dove almeno β è ancora ben visibile. La tradizione manoscritta di Diodoro riporta nel medesimo punto del racconto il medesimo errore, banale certo, ma fino al punto da far pensare che tale coincidenza non possa essere completamente casuale.
  • 2.4 μετέστησαν ... φήσαντες Ἀθηναίους] Crea difficoltà, in primis allo scriba stesso, l'anticipazione del pronome, rispetto al termine a cui plausibilmente si riferisce (Ἀθηναίους): lo dimostra la cancellazione, in corso di scrittura, del pronome nella seconda parte, dove sarebbe stato corretto, per sostituirlo appunto con Ἀθηναίους. Gli editori hanno risolto il problema nei modi più diversi. Müller intendeva così e ipotizzava che la frase procedesse normalmente come μετέστησαν δὲ τοὺς Ἀθηναίους οἱ Λακεδαιμόνιοι, φήσαντες αὐτοὺς; Jacoby proponeva di sostituire il pronome “sbagliato” con il solo Ἀθηναίους e di espungere non solo il cancellato dallo scriba ma anche il secondo, ridondante Ἀθηναίους.
  • 2.4 τὴν φάλαγγα Jacoby e Müller sentono il bisogno di completare con τὴν φάλαγγα <καὶ αὐτός>. Questa aggiunta non è necessaria alla comprensione del testo.
  • 2.4 Λακεδαιμονίοις καὶ ἀκουσίως Müller proponeva ἀκουσίοις per motivare il καί, inteso forse in senso avverbiale ''anche controvoglia''. Si può tuttavia tenere l'avverbio intendendo “anche svogliatamente”. Ἀκουσίως con l'infinito è attestato fin da Tucidide (Tucidide 3.31.1), poi negli oratori e in Polibio 3.25.5. Si trova in Diodoro (mai con infinito) con una certa frequenza.
  • 3.1 ἴδιος πρεσβευσάμενος Jacoby leggeva ἰδίαι ma metteva un punto di domanda davanti ad esso. Nel codice mi pare si legga chiaramente ἴδιος data la presenza di spirito e accento sulla prima, marcata ι e la finale con la precedente ο. È interessante la lettura di Müller, che, laddove fosse confermata, offrirebbe un interessante parallelo con l'uso di Diodoro, che ha la medesima forma del participio medio aoristo in cinque passi (14.15.4; 15.9.4; 16.3.4; 19.75.2; 32.22.1).
  • 3.2 πλεύσαντές [τε] ... εἰς Μίλητον nonostante il foglio di pergamena sia rovinato su questo punto, la lettura del numero per esteso pare certa. Il problema è duplice, perché complicato da un'ipotesi di Schaefer,44 che proponeva di sostituire come partenza Σάμου. L'osservazione di Jacoby, per cui questa ipotesi sarebbe unwahrscheinlich, è condivisibile. Il problema della distanza resta comunque, anche aggiungendo con Müller il segnale delle migliaia alla lettera. Un'altra ipotesi potrebbe essere quella di una confusione tra A e Δ. Anche in questo caso dovremmo comunque supporre la caduta dell'indicazione delle migliaia.
  • 3.2 τὰς δ μυριάδας l'aggiunta di ὑπέρ non è del tutto necessaria, data la negligenza rispetto alle preposizioni e la struttura della frase. In questo caso, peraltro, dove si usa come qualificatore, il risultato è quasi fuorviante,45 Cfr. anche τῆς Μυκάλης (senza preposizione) in 3.3, dove Bücheler inserisce ἐν e cambia al dativo.
  • 3.2 [κατὰ τὴν αὐτὴν ἡμέραν] Jac, [ἡ αὐτὴ δὲ ἡμέρα ἦν] Mül] La frase è costituita da due genitivi assoluti senza correlazione strutturale e senza un verbo finito o un elemento di reggenza comune così da risultare intraducibile e sicuramente scorretta. Il senso, tuttavia, non è corrotto, solo molto sintetico. È chiaro che si vuole sottolineare, in linea con molta della tradizione, una relazione (anche se non possiamo dire se di contemporaneità) tra le due battaglie, sottolineata dai semplici elementi strutturali residui: τε e καί. I segni di interpunzione nel codice non permettono di legare i due genitivi al successivo ἐστρατήγει, ma ciò non risolverebbe il problema se non parzialmente. Le proposte di Jacoby e Müller quindi, rispondono alla carenza grammaticale/sintattica del testo, cercando di modificarlo il meno possibile. L'aggiunta di [κατὰ τὴν αὐτὴν ἡμέραν] prima di γιγνομένης proposta da Jacoby rende un po' più evidente il nesso, già chiaro, tra le due proposizioni. Müller ha inserito tutta la frase principale [ἡ αὐτὴ δὲ ἡμέρα ἦν], evidentemente ipotizzandone la caduta integrale nel momento della scrittura. Una proposta alternativa, ma molto invadente, potrebbe, seguendo la narrazione del testo, esplicitare il secondo elemento: γιγνομένης τε τῆς μάχης ἐν Πλαταιαῖς καὶ ἐνίκησαν οἱ περὶ Μυκάλην Ἕλληνες. Anche in quest'ipotesi tuttavia, che prevede comunque troppe correzioni al testo, si leggerebbe la relazione tra i due eventi secondo la tradizione, scansando possibili alternative origini dell'errore, che di certo qui è presente. Ho scelto di lasciare la versione del codice, che rispecchia la natura di questo testo e di riferire entrambi i sintagmi alla frase precedente, se non all'intero paragrafo. L'origine di questo errore può essere rintracciata con pochi dubbi nella sintesi effettuata dallo scriba, che potrebbe aver tralasciato il verbo di questa frase o scritto una seconda premessa dimenticando del tutto di inserire la reggente, come spesso succede quando parliamo o prendiamo appunti.
  • 3.4 ἤγαγον Ἐλευθέρια trovandosi alla fine del foglio 84r, risulta di difficile lettura, poiché, man mano che si procede verso la fine della pagina, le righe vanno restringendo gli spazi tra di esse e la dimensione delle lettere insieme alla spaziatura. L'errore dello scriba è, in questo caso, meccanico: la concordanza di Ἐλευθερία con ἑορτήν, invece della corretta reggenza al nominativo di προσαγορεύσαντες.
  • 4 Si potrebbero considerare le varie proposte degli editori se solo si potesse leggere qualcosa sul codice. Nel microfilm che ho studiato nulla era visibile né alla fine del foglio 84r né all'inizio del foglio 84v, dove, peraltro, è caduta la seconda metà delle prime due righe circa, corrispondente a venticinque o trenta caratteri per riga.
  • 4 προσπολεμοῦντες, καί. La proposta di Müller è ragionevole ma ''λε'' è chiaro nel codice. Non vi è però traccia del καὶ che tuttavia pare indispensabile per la costruzione della frase che deve appoggiare a προσέμενον anche Pausania e non lo può fare paratatticamente. L'integrazione con ἀφίκετο δὲ aiuterebbe decisamente la comprensione scorrevole del testo, che chiaramente manca di un verbo principale, ma, come nota lo stesso Jacoby nel commento, lo spazio non è sufficiente.
  • 4 κατὰ... ἅμα διὰ... ἀλλὰ è congettura di Müller, dove sul codice si trova ἅμα. L'inserimento della negazione, scelto anche da Jacoby, risponde alla logica implicita di questo ἀλλὰ congetturale, e si avvicina alla storia che conosciamo, appianando una sottile ma significativa divergenza, se non un tentativo del testo di sottolineare una contraddizione. È invece più interessante la proposta, dubbiosa, che fa Jacoby in apparato: κατὰ φιλοτιμίαν τὴν ὑπὲρ τῶν Ἑλλήνων, ἅμα [δὲ] διὰ προδοσίαν che tenta di trovare un senso nell'opposizione tra le preposizioni (κατὰ / διὰ), che forse sarebbe chiara in presenza del verbo. Ho accettato sostanzialmente questa lettura, ma non vedo la necessità di inserire la particella [δὲ] (che svolge una funzione simile all'ἀλλὰ di Müller), nonostante la coerenza con l'uso del resto del testo. Ἅμα è usato anche nel parallelo passo tucidideo (Tucidide 1.91 τε ἅμα καὶ τοὺς ξυμμάχους).
  • 5.1 Jac. [Ἀκριβῶς γιγνώσκων] Il verbo è indispensabile, l'avverbio no.
  • 5.1 κτίζοιτο La proposta di Müller, rifiutata anche da Jacoby, è in linea con il testo ed è ciò che ci aspetteremmo, ma si può lasciare che il nostro testo ricordi con questo termine anche il fatto che Atene era stata saccheggiata e distrutta due volte. Anche in 5.4 è usato ἐκτίσθη per la costruzione delle mura.
  • 5.4 ἔτι νῦν Δία La lettura di Wescher mi sembra la più vicina al testo del codice, nonché la più problematica. C'è certo luogo anche per le proposte di correzione con Ἠετιώνεια, sulla base di Tucidide (Thuc. Tucidide 8.90.4 χηλὴ γάρ ἐστι τοῦ Πειραιῶς ἡ Ἠετιωνεία, καὶ παρ’ αὐτὴν εὐθὺς ὁ ἔσπλους ἐστίν) che è all'origine delle altre letture, e porta Schaefer ad inserire anche [ὁ εἴσπλους]. Non ci sono paralleli per tale denominazione, che resta plausibile solo perché molto semplice.46
  • 5.4 ἐφ’ ὅν Non c'è evidente necessità di sostituire il caso del pronome, dunque conservo l'accusativo del codice.
  • 7 [καί ... χ]ρημάτων Dall'inizio delle prime due righe del foglio 85r sono cadute più o meno 22-24 lettere (18 circa per Wescher). La proposta di Müller accettata anche da Jacoby è più che credibile dato lo spazio a disposizione e θησαυροφυλάκιον ἐποιήσαντο.
  • 7 [ὕστερον δέ (?) ............ τάλ]αντα considerando il μετεκόμισαν a cui l'indicazione si riferisce penso si possa ipotizzare che nello spazio vuoto fosse riportata la cifra complessiva dei tributi presenti all'epoca a Delo, come in Diodoro (12.38.2 σχεδὸν ὀκτακισχίλια). Anche la proposta [ὑστέρῳ δὲ χρόνῳ π]άντα di Bücheler è interessante e non richiederebbe ipotesi sui numeri. Jacoby aveva proposto ὕστερον δὲ come in 8.3, per integrare la prima parte, invece di seguire del tutto la proposta di Bücheler, di cui comunque riprende l'intuizione, ma si è astenuto dal proporre valori. Potremmo immaginarvi in lettere una cifra precisa di talenti, in conformità con altri luoghi del testo, che rivelano una certa passione per i numeri (e.g. 2.3, 5.4).
  • 8 θυγάτηρ Κορωνίδου ὄνομα La lettura è chiara così come stampata da Jacoby. Effettivamente qui è caduto il nome della giovane.47 Anche Müller dice sul passo di Coronide ''filiae nomen exciderit''.
  • 10 βασιλεύοντα Ho scelto di nuovo la lezione del codice che, sebbene di difficile lettura è comprensibile: il participio ha un preponderante valore di aggettivo. Si può ricondurre questo elemento sicuramente allo scriba. Legare un presunto participio al seguente aggettivo e riproporre l'apposizione βασιλέα utilizzata da Diodoro (11.56.1 Ἄδμητον τὸν Μολοττῶν βασιλέα) e Tucidide (Tucidide 1.136.2 Ἄδμητον τὸν Μολοττῶν βασιλέα, ὄντα αὐτῷ οὐ φίλον καταλῦσαι) come fa Jacoby è comunque corretto e presuppone un semplice errore dello scriba o una diversa lettura.
  • 10 πολεμούντων Le lettere sono ben visibili nel codice e trovano un parallelo interno significativo per l'uso di questo termine in 4.2.
  • 11 [οὐ] γνόντες La negazione inserita da Müller non pesa sul senso del testo, e bilancia παραγενόμενοι δὲ ἔγνωσαν, che altrimenti sarebbe mera ripetizione.
  • 11 δὲ εἰς Μαγνεσίαν ἀντεπεστράτευον Bücheler non avendo inserito [οὐ] precedentemente si è trovato in difficoltà con la ripetizione del verbo, che di conseguenza sostituisce con la meta d'arrivo.
  • 11 ἐκτραπεισῶν Bücheler e Jacoby propongono due verbi che significhino la dipartita delle 50 navi, ma i due participi restano problematici da riferire entrambi alle 50 navi ateniesi. Si potrebbe invece, come paiono suggerire la maggior parte degli editori (che lasciano la croce e il testo del codice), correggere προσπλεουσῶν in un modo finito (προσέπλευσεν), considerando ἐκτραπεισῶν participio aoristo parte del genitivo assoluto con νεῶν. Il soggetto anche di questo verbo risulterebbero οἱ περὶ τὸν Μεγάβυξον. Credo che, come nel caso del [κατὰ τὴν αὐτὴν ἡμέραν] anche qui, i due participi si riferiscono sempre alle navi, legati dal δέ. Al primo si può attribuire un valore concessivo e al secondo uno temporale.
  • 14 καὶ [Ἀθηναῖοι] Sembra difficile credere che il soggetto siano di nuovo i Lacedemoni. L'integrazione con un sostantivo almeno per il secondo ἀφελόμενοι è necessaria. Ho scelto la proposta di Bücheler, che mi sembra il miglior compromesso nella necessità di integrare. ὕστερον aggiunto prima e insieme ad Ἀθηναῖοι da Müller completa ancora meglio e secondo l'uso del testo.
  • 15.4 Περικλέους καὶ Σοφοκλέους Il Θεμιστοκλέους del codice è probabilmente frutto di un lapsus.
  • 16.2-3 Ho lasciato le citazioni da Aristofane48.
  • 18 ἐξεπολιόρκησαν [τὴν Ποτίδαιαν] Inserire l'accusativo è indispensabile per il verbo reggente della frase, ma anche in questo caso, in realtà si potrebbe lasciare come è.

La divisione in paragrafi e sezioni è quella di Jacoby.49 I segni diacritici adottati sia per il testo che per l'apparato sono quelli utilizzati nei FGrHist.

22. RE II 926.

23. Jacoby FGrHist 104 Komm.p. 320.

24. Dain 1967, 349 con bibliografia precedente. Cfr. .

25. Maniaci 2002, 94-5. Cfr. .

26. Questo sarebbe dimostrato dalle caratteristiche strutturali dei caratteri e della catena grafica. Laur. Plut. 59.9, non datato, ma riferibile al X secolo e che Cavallo (Cavallo 2000, 222 con tavole) inserisce in una serie di esempi di libraria informale ''con una pretesa di formalità''.

27. Così anche Müller.

28. Cohen-Skalli 2012, XXV-XXXVI presenta in modo chiaro il metodo di composizione degli Excerpta Constantiniana, simile a questo.

29. Schepens 2010, 36.

30. Raphael Sealey, citato in Frost 2005, 259 n.7.

31. Zuntz 1938, 658-677.

32. Jacoby, FGrHist 104 Komm, 319-20.

33. Rea ipotizzava anche X o B come posizioni possibili per P.Oxy. 2469, mentre l'ho spostato su A.

34. Montana Fournet 2006, 54; Sch. Eq 84b II Σύμμαχος δέ φησι ψεύδεσθαι περὶ Θεμιστοκλέους. Οὔτε γὰρ Ἡρόδοτος οὔτε Θουκυδίδης ἱστορεῖ.

35. Montana Fournet 2006, 54

36. Forse possiamo identificare A con la ''tradizione, cui l'annotatore ricorse per la spiegazione di lemmi difficili dei cavallieri'' secondo Montana 2000, 96. Montana Fournet 2006, 48-9 fornisce i criteri per la datazione di CLGP Aristoph n°5.

37. Cohen-Skalli 2012, XIX-XXI.

38. Fornara 1971, 48 e Prosopographia 12834 per le fonti.

39. Seguendo le considerazioni di Cortassa Culasso Gastaldi 1990, 21 e 30, per l'edizione di testi con un unico testimone.

40. Cortassa Culasso Gastaldi 1990, 25.

41. Ronconi 2003, 108.

42. Thuc. Tucidide 7.53; Polyb 6.52.10; Diod. 15.34.5; 20.112.3; Arriano Anabasi 2.1.2; Cassio Dione 51.1.4.

43. Xen. Memor. 1.4.17, Menandro F 539 Koch.

44. Coeditore di Bücheler nel 1868.

45. Rubincam (Rubincam 2008, 114) giunge, studiando a confronto il testo, traduzioni e rielaborazioni di Erodoto rispetto ai qualificatori numerali, ad una conclusione applicabile anche a questo tipo di congetture, e che ritengo valida anche per il commento ''Modern readers expect history to be written with a higher frequency of numerical information in it, specifying details of time, distance, military forces, and money to a much higher level of precision then their ancient sources were able to do''.

46. Potrebbe esserci stato un errore in qualche fase che ha portato a confondere con Tucidide Tucidide 1.126.3 (ἔστι γὰρ καὶ Ἀθηναίοις Διάσια ἃ καλεῖται Διὸς ἑορτὴ).

47. Κλεονίκη

48. Le edizioni di riferimento in apparato che ho usato per Aristofane sono quelle edite a Oxford dal prof. Olson. Per Pax 603-611, Olson 1998 e per Acharn. 524-534, Olson 2002. secondo la versione di FGrHist 104, piuttosto che riportandole all'Aristofane delle edizioni. La metrica è irrilevante per editare Aristodemo che non se ne preoccupa. Volendo restituire qui FGrHist 104 risultano invece interessanti le scelte conformi al resto del testo. La poca sicurezza, rispetto al tradito ma ormai desueto termine λιπερνῆτες per il nostro copista, lo porta ad una confusione con πένητες probabilmente. Oltre a perdere atticismi come ξυνίετε sceglie ῥημάτια e il verbo all'ottativo in Pax 603-4, rendendo la frase decisamente esplicita e semplificando la struttura. FGrHist 104 “risolve” la croce del verso 605 del testo aristofaneo (Πρῶτα μὲν γὰρ † αὐτῆς ἦρξε † Φειδίας πράξας κακῶς) usando πρῶτον (come in 2.2, 2.5, 4.2, 16.1) in senso avverbiale e aggiustando il verbo per Fidia, ἤρξατ’αὐτῆς Φειδίας πράξας, nel senso di “Fidia diede inizio ai fatti della città”. Nel verso 607 invece αὐτοδὰξ è banalizzato in αὐθάδη e il verso 608 (πρὶν παθεῖν τι δεινὸν αὐτός , ἐξέφλεξε τὴν πόλιν) è omesso, forse per ridondanza con l'opinione fatta propria nell'introdurre il testo (εὐλαβηθεὶς ὁ Περικλῆς μὴ καὶ αὐτὸς εὐθύνας ἀπαιτηθῇ). Anche il passo di Acarnesi (524-534) risente degli stessi meccanismi di citazione in prosa. Al verso 528 κἀντεῦθεν ἁρχὴ τοῦ πολέμου κατερράγη diventa ἐνθένδ’ὁ πόλεμος ἐμφανῶς κατερράγη, con ἐνθένδ’ a far la serie con il successivo ἐνθένδε μέντοι e l'interessante aggiunta di ἐμφανῶς

49. Sebbene si trovino riferimenti diversi ad FGrHist 104, non di rado i paragrafi del manoscritto sono trattati come frammenti separati.


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